Bentornati su Voce della terra; questo è Micael Di Paola che vi parla.
Dopo avervi raccontato nella prima puntata le origini e la storia del dialetto morrese, oggi voglio portarvi dentro un aspetto più concreto, più vero, più vivo: le storie che si raccontavano e si raccontano ancora in dialetto. Ho preso spunto dal libro Attuornu a lu fuculinu, una raccolta di racconti scritti in dialetto morrese che sono una vera miniera di vita, di lingua e di tradizioni.
Leggendo questi racconti, si capisce subito quanto il dialetto non sia solo un modo di parlare, ma sia soprattutto il linguaggio delle persone di Morra, quello con cui si viveva e si condivideva ogni momento della giornata. Le parole, le espressioni, i modi di dire raccontano un mondo che oggi sembra lontano ma che è dentro di noi, nelle nostre famiglie, nei ricordi dei nonni.
Uno dei racconti che più mi ha colpito è quello di Candàra, un uomo furbo e un po’ spiritoso, che riesce a procurarsi due galline senza spendere un centesimo, usando un chicco d’uva legato a uno spago e trascinandole dentro casa. È un esempio perfetto di come il dialetto racconti non solo parole, ma anche modi di pensare, di affrontare la vita, di inventare soluzioni con poco.
La cucina, la compagnia, la condivisione sono altri temi che emergono chiaramente. La “cucinèddra” era un momento speciale, in cui intorno al camino ci si riuniva, si mangiava quel poco che c’era, si beveva un bicchiere di vino e si raccontavano storie in dialetto. In quei momenti il dialetto era vivo, era la lingua che univa, che dava un senso di appartenenza.
Quello che ho trovato affascinante è anche il modo in cui il dialetto viene scritto: non c’è una regola fissa, ma ogni autore usa il dialetto a modo suo, cercando di catturarne il suono e la musicalità. È un dialetto anarchico, libero, che nasce dal parlato e che non si lascia incasellare da regole rigide. È la voce autentica di una comunità che non si vergogna delle sue radici.
Le parole in morrese non sono solo vocaboli, ma sono cariche di storia e di significato. Parole come fuculinu, callara, mufita, trippa e tante altre raccontano un modo di vivere e di sentire. E anche se oggi molte di queste parole si usano poco o per niente, restano un patrimonio prezioso che vale la pena conoscere e custodire.
Leggere questi racconti mi ha fatto pensare a quanto sia importante mantenere viva questa lingua, non solo per nostalgia, ma per identità. Perché il dialetto morrese è la testimonianza di chi siamo, di dove veniamo, di come abbiamo vissuto e ancora viviamo. È un ponte tra passato e presente, tra vecchie generazioni e nuove, e il nostro compito è far sì che questo ponte non si spezzi mai.
Made by Gioventù Morrese
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